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             L'arte 
              del periodo achemenide ci é nota soprattutto dagli imponenti resti 
              dei palazzi reali di Pasargade , Susa, Persepoli e dalle tombe di 
              Naqsh-i Rustam. Malgrado gli evidenti legami con l`arte egiziana 
              e con quella babilonese, l'arte iranica vi si dimostra altamente 
              originale, tutta rivolta all'esaltazione dell'autorità del re e 
              alla creazione di forme solennemente grandiose.  
              Tipico carattere dei palazzi achemenidi, sorgenti su grandi terrazze 
              artificali, è la presenza di una sala centrale col tetto sorretto 
              da numerose file di altissime colonne, fiancheggiata da numerosi 
              ambienti minori.  
              I portali di Persepoli sono decorati da grandi bassorilievi di ispirazione 
              assiro-babilonese, raffiguranti tori alati o geni o re in lotta 
              con belve e mostri; le rampe delle scalinate reali invece sono fiancheggiate 
              da lastre con rilievi raffiguranti cortei di sudditi, cortigiani 
              e soldati della guardia. In tali sculture vi è qualche traccia di 
              influssi greci, ma il contatto più evidente è quello con l'arte 
              assira. La tomba di Ciro a Pasargade, con una semplice cella su 
              gradini, si ricollega forse a un antico tipo di abitazione degli 
              Irani. Quelle rupestri di Naqsh-i Rustam, presso Persepoli, sono 
              forse ispirate agli ipogei egiziani. Poco è rimasto delle arti minori 
              (statuette d'oro e d'argento, piccoli bronzi, terrecotte, sigilli). 
               
            La 
              conoscenza e l'apprezzamento dell'arte del periodo partico sono 
              tutt'ora in corso di approfondimento. Un carattere rivelatore dell'arte 
              partica appare la cura dei particolari, in contrasto con la visione 
              sintetica dell'ellenismo; infatti l'arte partica insiste sui valori 
              descrittivi della linea, portati a un punto tale da rimuovere ogni 
              aspetto naturalistico per dare invece alla figura una fissità ieratica. 
              Notevoli le influenze greco-romane, anzi l'arte partica è stata 
              vista come un derivazione, sia pure trasfigurata, dell'arte greco-romana. 
              Probabile invenzione partica è l'iwan, la sala di rappresentanza, 
              a volta, interamente aperta da un lato.  
              Con i Sasanidi (sec. III-VII d.C.) si ha una nuova fioritura della 
              tradizione iranica. I maggiori resti di architettura sasanide sono 
              il cosiddetto Taq-i Kisra presso Baghdad, la grande sala del trono 
              nel palazzo reale, e poi i palazzi di Firuzabad e Sarvistan nella 
              Perside, nei quali predomina l'iwan. Assai diffusa la decorazione 
              in stucco, con rappresentazioni figurate e ornamentali. I bassorilievi 
              regi dei Sasanidi, spesso eseguiti accanto a monumenti achemenidi, 
              ci confermano la loro intenzione di ricollegarsi con la più illustre 
              tradizione nazionale. Particolare importanza ha nell'arte sasanide 
              la toreutica, rappresentata da coppe, piatti e vasi lavorati a sbalzo 
              e a cesello, spesso dorati.  
              Con la conversione all'islamismo, l'arte iranica non ruppe completamente 
              con il passato, ma conservò nel suo ambito parte dell'antico patrimonio 
              iconografico, che subì un processo di islamizzazione per il quale 
              ciò che prima aveva un significato simbolico ebbe d'ora innanzi 
              una funzione esclusivamente decorativa.  
              Quasi nulla rimane rimane dell'epoca omayyade. In architettura si 
              può parlare di uno stile ufficiale abbaside (parti più antiche della 
              moschea maggiore di Isfahan, 760 circa, e della moschea di Shiraz, 
              871). Le arti minori, invece, si mantennero fedeli alla tradizione 
              sasanide, come dimostrano gli oggetti d'argento e di bronzo. 
              Con i Selgiuchidi (sec. XI-XIII) in architettura si svilupparono 
              alcune tipologie iraniche tredizionali; il contributo più notevole 
              è rappresentato dalla trasformazione della moschea ipostila nel 
              cosiddetto tipo di moschea-madrese: primo esempio in tal senso è 
              quello della grande moschea di Zaware (1135-36). 
              L'architettura 
              civile ci è nota dai palazzi dell'Afghanistan e dai caravanserragli. 
              Nella decorazione architettonica prevale negli esterni quella in 
              mattone tagliato e scolpito con ornati di tipo geometrico e vegetale. 
              Eccellente qualità raggiunsero le officine ceramiche ( Kashan e 
              ar-Rayy) con la decorazione "a lustro metallico" e le ceramiche 
              policrome dette mina'i.  
              Con i Selgiuchidi si affermò inoltre la decorazione parietale in 
              ceramica smaltata realizzata con mattonelle.  
              Con i Mongoli (Ilkhan, sec.XIII-XIV) l'architettura si sviluppò 
              in senso monumentale e grandioso e si fece largo uso della decorazione 
              in mosaico ceramico (moschee di Tabriz, 1310-20, di Forumad, 1320, 
              e di Varamin). Si introdussero motivi e iconografie estremo-orientali 
              . Centro della produzione pittorica fu soprattutto Tabriz, la capitale. 
              Con i Timuridi l'architettura non propone invenzioni nuove, ma presenta 
              proprie variazioni dimostrando viva sensibilitá per una ricerca 
              armonica della proporzioni pur nell'ambito del colossale cui spesso 
              indulge. Si inventa la cupola bulbosa su un alto tamburo e i rivestimenti 
              finiscono per fasciare i monumenti sia negli interni che negli esterni. 
               
              Particolare fortuna ebbe la miniatura. Grande sviluppo conobbe l'arte 
              del tappeto che, a partire dal XV sec. elaborò il tipo a medaglione. 
               
              
            La 
              dinastia Safavide (1502-1736) segna un periodo molto florido e l'architettura 
              ne rappresenta uno degli aspetti più sugnificativi, anche se nel 
              complesso non rinnova i suoi schemi (Moschea dello Shah e quella 
              dello Sheyk Lotfollah, 1603-17 a Isfahan). Nell'edilizia palaziale 
              si torna a un'antica concezione asiatica di tradizione nomade nella 
              quale le funzioni sono disaggregate: il palazzo si frantuma in padiglioni 
              distribuiti in un grande parco, come era quello di Isfahan (1588-1629). 
              Notevolissma l'attività edilizia in campo civile, con ponti e caravanserragli. 
              La miniatura sotto i Safavidi conobbe una grande fioritura nei centri 
              di Tabriz (XVI sec.), nella nuova capitale Isfahan e a Shiraz. Tutti 
              i settori delle arti minori conoscono una loro eccellenza artistica. 
               
            Con 
              il XVIII secolo l'arte iranica entra in crisi. Tuttavia con i Qajar, 
              anche se spesso la qualità è scadente, affiorano motivi popolareschi, 
              sempre sdegnati dall'arte aulica, che riescono a dare una gustosa 
              forza comunicativa a certe opere, specialmente pittoriche. Con i 
              Pahlavi l'arte iranica viene inserita nel più vasto panorama mondiale. 
              Nel 1964 il Club degli Artisti, fondato nel 1946, si trasforma in 
              ministero delle Arti e delle Culture, accogliendo artisti di tutti 
              i settori. Al periodo pre-rivoluzionario, ispirato soprattutto alla 
              tradizione miniaturistica, appartengono Sepehri (n. 1928), M. Oveissi 
              (n. 1934) e F. Pilaram (n.1936).  
              Il periodo post-rivoluzionario è caratterizzato invece da un'arte 
              insieme rivoluzionaria e islamica, dove prevalgono opere grafiche 
              dedicate ai temi della guerra e del martirio, non di rado collettive 
              ed anonime. In architettura vi è un ritorno alle tipologie classiche: 
              moschea di al-Qadir (1977-87) a Teheran e la nuova città di Shushtar 
              (1976-87).  
              
             
              
               
            La 
              letteratura dell'Iran antico comincia con il libro sacro dello zoroastrismo, 
              l'Avesta, le cui parti più antiche (le Gatha) risalgono a Zaratustra 
              stesso (sec. VII-VI a.C.?). A esse si contrappongono gli Yasht, 
              o inni, che riflettono un'elaborazione della primitiva dottrina 
              zoroastriana, contaminata con residui della preesistente religione 
              naturalistica iranica. Accanto all'Avesta, la letteratura dell'età 
              achemenide ci offre le iscrizioni dei Gran Re, da Ciro il Vecchio 
              ad Artaserse III: scolpite su roccia o su tavolette d'oro e altro 
              materiale, esse magnificano le gesta dei sovrani o illustrano le 
              loro opere monumentali. Il numero di tali iscrizioni, dal grande 
              valore storico, letterario e linguistico, si è molto accresciuto 
              negli ultimi decenni.  
              Il periodo arsacidico non ha lasciato tracce dirette di creazioni 
              letterarie, ma per vari indizi la letteratura sasanide appare continuazione 
              della fase precedente. All'età sasanide appartiene la produzione 
              in medio-persiano o pahlavico, per la massima parte di argomento 
              religioso zoroastriano: si hanno traduzioni e commenti dell'Avesta, 
              e opere originali come il Denkart e il Bundahishn, specie di enciclopedie 
              del sapere teologico di quell'età (III-VII sec. d.C.). Fra i non 
              molti testi di argomento profano della letteratura pahlavica vi 
              sono due piccoli romanzi epico-cavallereschi, che narrano due episodi 
              della tradizione poi codificata nello Shahnamè: l`Ayatkar-i Zareran 
              ("Il memoriale di Zarer"), che celebra le gesta del re Vishtasp 
              e di suo fratello Zarer in difesa della fede zoroastriana, e il 
              Karnamak-i Ardashir-i Papakan ("Il libro delle gesta di Ardashir 
              figlio di Papak"), sulle avventure del fondatore della dinastia 
              sasanide. La letteratura zoroastriana in pahlavico, come appare 
              da recenti ricerche, continuò nei primi secoli dopo la conquista 
              araba; ma nell'enorme maggioranza la produzione letteraria posteriore 
              al sec.VII d.C. rispecchia, nella nuova fase linguistica del neopersiano, 
              spiriti e forme della civiltà iranica musulmana. Le prime manifestazioni 
              letterarie dell'Iran islamico risalgono al sec. IX, nella lirica 
              cortigiana fiorita sotto i Tahiridi, i Saffaridi ed i Samanidi, 
              le prime dinastie autonome sorte in margine al califfato. Specialmente 
              sotto i Samanidi, che regnarono nel Khorasan dalla fine del sec. 
              IX a tutto il X, la vita culturale iraniana rifiorì intensa e una 
              pleiade di poeti aulici (Rudaghi, Daqiqi, ecc.) sollevò ad alto 
              livello d'arte e di stile la lingua nazionale.  
              I germi letterari dischiusisi sotto i Samanidi ebbero la loro piena 
              fioritura nel seguente periodo Gasnavide, illustrato da altri celebri 
              lirici, come Farrukhi, Manoucheri, Asadi, e soprattutto dall'epico 
              Ferdousi (m. 1020 circa). Quest'ultimo riprese un lavoro iniziato 
              da Daqiqi, il verseggiamento delle tradizioni epiche nazionali, 
              e creò il grandioso Shahnamè ("Libro dei Re"), rimasto ammirato 
              modello dell'epopea persiana. Dall'età di Ferdousi a quella di Giami 
              (sec. XI-XV) si estende l'epoca classica della letteratura persiana, 
              ricca e varia, dall'epica eroica e cavalleresca alla lirica aulica 
              e filosofico-mistica, 
              alla prosa narrativa, storica e parenetica. 
              
             L'epica 
              romanzesca, dopo Ferdousi, fu trattata da Fakhr ad-din As'ad Gurgani 
              (sec. XI), che verseggiò nel Vis u Ramin un'antica materia di origina 
              partica, singolarmente affine al ciclo celtico di Tristano e Isotta. 
              Grande artista fu Nizami (sec. XII), l'autore azerbaijano della 
              celebre Khamsa o quintetto di poemi, che danno forma classica a 
              popolarissime leggende arabe o iraniche (gli amori di Khusraw e 
              Shirin, Laila e Magnun ecc.). Questa materia romanzesca fu ripresa 
              nel XV sec. dal poligrafo Giami, che vi infuse però il proprio spirito 
              mistico. In realtà la mistica, forse la più profonda esperienza 
              spirituale dell'Iran islamico, colorò di sè a partire dal XII sec. 
              quasi ogni manifestazione della poesia persiana. I maggiori classici 
              del Medioevo iranico sono mistici, dall'autore di quartine Abu Sai'd 
              ibn Abi l-Khair ai grandi creatori dei mathnavi (poemi) allegorici 
              Farid ad-din 'Attar e Gialal ad-din Rumi (ambedue del XIII sec.), 
              allo gnomico e narratore Sa'di (XIII sec.) e al maestro del ghazal 
              amoroso, Hafez (XIV sec.). A Gialal ad-din Rumi, in particolare, 
              si deve, tra l'altro, il Mathnavi per eccellanza, vasto complesso 
              di meditazioni, sfoghi mistici e racconti allegorici, rimasto normativo 
              per il più tardo sufismo persiano-turco; a Sa'di, il Bustan ("Giardino") 
              in versi, e il Gulistan ("Roseto") in prosa e versi frammisti, breviario 
              tipico della sapienza popolare persiana. Hafez, infine, è il perfettissimo 
              lirico che nel breve giro del ghazal (una dozzina di distici) racchiude 
              con insuperata versatilità ed eleganza un sospiro d'amore sacro 
              o profano (l'ambivalenza del testo ne aumenta il fascino), che incantò 
              non solo gli orientali ma anche Goethe e il Romanticismo. Una posizione 
              a sè occupa come poeta 'Omar Khayyam (sec. XI-XII) misteriosa figura 
              di scienziato, cui va attribuito un fluttuante corpus di quartine 
              che per originalità di concetto e splendore di forma sono tra le 
              più alte espressioni del genio orientale. 
              La prosa dell'epoca classica, da modesti inizi sotto i Samanidi 
              si solleva a grande rigoglio nei secoli seguenti. Essa conta opere 
              favolistiche (Tuti-name, Marzban-name, ecc.) che sviluppano e arricchiscono 
              la materia di origine indiana oppure di scienza politica e di governo, 
              e di etica e parenetica preziose come documento storico-culturale 
              oltre che come modello di asciutta prosa antica, libri di viaggio, 
              trattati di morale. Assai fiorente fu la storiografia, specie nell`epoca 
              mongola (sec. XIII-XIV), cui risale, tra l'altro, la grande enciclopedia 
              storica (Giami at-tawarikh) di Rashid ad-din Fadl Allah. Dopo l`età 
              mongola la prosa si abbandona a un`estrema ridondanza e artificiosità 
              di stile che finisce per rendere faticosa la lettura.  
              
            Con 
              il sec.XVI la letteratura classica ha compiuto il suo ciclo e si 
              adagia nella meccanica ripetizione di temi e motivi triti. Questa 
              decadenza dura fino al XIX sec., fatta eccezione per il genere popolare 
              del dramma sacro ta'ziya. Per quanto riguarda la letteratura di 
              età moderna possiamo distinguere cinque periodi, legati all'evoluzione 
              storico-politica del Paese: 
             1) 
              Il periodo formativo, storicamente collocato agli inizi dell'Ottocento, 
              significò la fine dell'isolamento dell'Iran che si aprì agli influssi 
              europei creando così le premesse per un progressivo quanto rapido 
              mutamento delle strutture politico-religiose della vita culturale. 
              Letteratura e letterati uscirono allora dagli ambienti di corte 
              e molti giovani vennero inviati a studiare in Europa (nel 1816-17 
              fu aperta a Tabriz la prima tipografia e nel 1834 apparve a Teheran 
              il primo quotidiano Ruznamè-i akhbar-i wakayi "La gazzetta degli 
              eventi"). La creazione di una sorta di università di stampo europeo 
              (Dar al-funun "Casa delle arti"), inaugurata a Teheran nel 1852, 
              consentì la formazione di un nuovo corpo intellettuale, oltre a 
              favorire la nascita di un'attività traduttoria che fornì nuovi modelli 
              letterari lontani dallo stile aulico e tradizionale. È infatti forte 
              nel XIX sec. la tendenza a semplificare la lingua e lo stile della 
              prosa e della poesia. Per quanto riguarda il teatro, grande attenzione 
              fu rivolta alla ta'ziya, oltre che alla tradizione popolare del 
              teatro delle marionette e della farsa. Il teatro tradizionale, invece, 
              nel corso dell'ottocento, subì l'influsso del modello europeo.  
            2) 
              Il periodo del risveglio, che coincide con gli anni delle prime 
              agitazioni (1890) e con la lotta per la Costituzione (1905-11), 
              vide la massima fioritura delle arti in generale; l'evoluzione politica 
              pose fine alla poesia di corte, generando una letteratura vicina 
              agli avvenimenti dell'Iran e dell'Europa. Si affermò il gusto per 
              la rievocazione storica e per concetti in parte nuovi, quali il 
              nazionalismo, la democrazia e le problematiche sociali, così come 
              è testimoniato dal fiorire del genere del romanzo. Tra i primi romanzieri 
              ricordiamo Zain al- 'Abidin (m. 1910), che nel suo romanzo Siyahat-name-i 
              Ibrahim Beg ("Il diario di viaggio di Ibrahim Beg", 1888) descrive 
              lo stato deplorevole dell'Iran nell'epoca dei Qajar. Si registrò 
              inoltre lo sviluppo della pubblicistica, spesso legata a circoli 
              politici e letterari. Gli intellettuali sostennero la lotta per 
              la Costituzione in quotidiani e periodici. Anche la produzione poetica 
              si piegò a nuove esperienze formali seguendo due strade: la prima 
              vide forme classiche piegarsi a contenuti tupici dell'età moderna 
              come nel caso di Mirza Taqi Bahar (1886-1956); la seconda, quella 
              del rinnovamento formale, fu intrapresa da M. Reza 'Ishqi (1895-1915), 
              autore di componimenti strofici e rime fortemente influenzate dalla 
              poesia romantica e simbolista francese. 
             3) 
              Il periodo riformistico coincide con l'ascesa al potere del primo 
              sovrano della dinastia Pahlavi, Reza Shah (1924-1941). Nel 1921 
              fu pubblicata Yaki bud yaki nabud ("C'era una volta") di Giamalzade 
              (n.1891), una raccolta di satire che segnò il primo vero successo 
              di una nuova tecnica narrativa. Dello stesso anno è il poemetto 
              Afsane ("La favola") di Nima Yushig (1897-1960), tra i primi tentativi 
              di creare un genere di versi liberi da ogni canone stilistico. Ma 
              il cammino dello sperimentalismo poetico fu ostacolato dalla continua 
              polemica con i tradizionalisti e con gli epigoni della poesia classica. 
              Il romanzo di contenuto sociale evolse nel romanzo di costume, connotato 
              ora da un piglio giornalistico e impegnato con Dihati (pseudonimo 
              di Muhammad Mas'ud, m. 1947), ora da un'impostazione garbatamente 
              descrittiva con Muhammad Higiazi (1899-1977). Ma la propaganda nazionalistica 
              governativa di Reza Shah, nonostante gli sforzi di numerosi riformisti, 
              attecchì soprattutto nel filone storico: proliferarono le opere 
              dai toni nostalgici rivolte all'esaltazione della grandezza dell'Iran 
              preislamico. Quanto al teatro, elevato soltanto ora a genere letterario, 
              si affermò una vena innovatrice dai toni satirici, che si esaurì 
              tuttavia rapidamente a causa della censura governativa. È però di 
              questi anni (1939) la nascita di una scuola di formazione per attori, 
              Hunaristan-i hunarmadan, di cui il personaggio più rappresentativo 
              è l'autore-attore Sayyid 'Ali Nasr (m.1961).  
            4) 
              Il periodo della letteratura del neocapitalismo caratterizzò gli 
              anni che seguirono alla seconda guerra mondiale, ma soprattutto 
              all'estromissione dal potere del primo ministro M. H. Mossadeq (1953). 
              S'intensificò il processo di occidentalizzazione: gli intellettuali 
              reagirono alla convulsa corsa allo sviluppo letterario, attirando 
              l'attenzione sui gravi squilibri sociali che ne derivavano. Il racconto, 
              più del romanzo, meglio si prestò alla riproduzione letteraria del 
              quotidiano: spiccano in questo senso Gulestan (n. 1922), Tunkabuni 
              (n. 1936), Daulatabadi (n. 1940) e altri. Le novità più consistenti 
              si ebbero sul versante della poesia, che alla fine degli anni Cinquanta 
              vide la nascita della shi'r-i nau (la 'poesia nuova'): la struttura 
              tradizionale del verso fu scomposta e riadattata secondo procedimenti 
              di riduzione e ampliamento della antiche leggi formali. Precursore 
              e caposcuola era stato Yushig, e Shamlu ne fu il più diretto erede. 
              I poeti di questa scuola, che ebbe il momento di maggior fioritura 
              tra gli anni Sessanta e Settanta, manifestarono molteplicità di 
              tendenze: al lirismo d'ispirazione trdizionale, si contrappose la 
              negligenza formale di gusto tardo-simbolista e surrealista dei poeti 
              della naug-i nau (dal francese nouvelle vague), fra cui spicca Ahmadi 
              (n.1940). Nel teatro il tentativo fu quello d'innestare le forme 
              di provenienza occidentale su di un filone locale e tradizionale. 
              Nel 1967 la televisione nazionale organizzò il primo Festival delle 
              arti di Shiraz e nel corso del festival internazionale del cinema 
              (1970) i film iraniani riscossero un notevole successo.  
            5) 
              Il periodo post-rivoluzionario fu avviato in letteratura dall`atmosfera 
              di aspettative e di speranza suscitate dalla rivoluzione (1979), 
              che richiamò in patria numerosi letterati e intellettuali. In poesia 
              grande fu l'influenza della rivoluzione islamica. la prosa, invece, 
              non sembra discostarsi dalle tendenze dell'epoca precedente, come 
              emerge in Salariha ("I comandi generali", 1979) di Buzurg 'Alawi, 
              in Kelidar (1979) di Daulatabadi, in Zaminsukhte ("Terra bruciata", 
              1982) di Ahmad-i Mahmud.  
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